la storia del sugherificio

Una attività caratteristica dell’appennino reggiano

 

 

C ‘e una attività che caratteriz¬za 1’appennino reggiano in un modo pressochè unico in Italia, ma nonostante questo non è conosciuta e valorizzata quanto meri¬terebbe: si tratta della lavorazione del sughero, una tradizione artigia¬nale che risale a1800 e che affonda le sue radici in usanze molto anti¬che, e nella caratteristica ancestrale del crinale tosco-emiliano: quella di essere un territorio di passaggio. Ora questa attività antica viene finalmen¬te premiata con un apposito bando per le imprese del Gal Appennino Reg¬giano e con l’annunciata realizza¬zione del museo del sughero per la prossima estate, a Cervarezza. Un giusto premio per quelle aziende che ancora oggi proseguono la tradizione. Sono diverse, e tra queste una che ha storicamente la sua sede in Comune di Castelnovo, da diversi anni sita a Cà Perizzi: si tratta del Sugherificio “II Castello”, dei fratelli Piero ed Afro Boni. Una realtà pressochè uni¬ca per la completezza del ciclo inter¬no di lavorazione della materia prima. Raccontano Piero ed Afro:”Quella legata al sughero è una attività che nel nostro appennino risale al1800, ed ha avuto il suo nucleo storico a Cerva¬rezza: si formò un piccolo compren¬sorio che in Emilia Romagna, ma praticamente in tutto il nord Italia, non ha ancora oggi eguali, se si esclu¬de la Sardegna

che produce anche la materia prima.

Da noi invece la mate¬ria prima arrivava dalla maremma, dove i pastori si recavano per la tran¬sumanza. Con la disponibilità di sughero a Cervarezza si iniziarono ad intagliare i tappi: si faceva per¬ché le rendite dell’agricoltura era¬no minime, e quindi per arrotondare si realizzavano questi pezzi, tagliati a mano, di forma irregolare, pressochè ottagonale, chiamati “i quadretti”. Poi si caricavano in un sacco e si andava¬no a vendere in città, spesso a piedi. Nostro nonno cominciò così, lui al¬l’inizio del `900, poi proseguirono nostro padre e nostro zio. Nel 1968 abbiamo trasferito la lavorazione Casa Perizzi, e poi nel ’90 abbiamo costituito l’attuale Snc.” In più di 100 anni di attività familiare è ovvio che i metodi di lavorazione sono mol¬to cambiati, ed oggi si fatica a capire quanti passaggi stiano dietro un semplice tappo. “Dagli anni ’60 è stata introdotta la prima innovazione tecnologica, fino ai macchinari alta¬mente complessi che usiamo oggi, ma il bello del lavoro è che la base artigianale, l’esperienza personale re¬stano ancora, e dovrà sempre esserci la mano dell’uomo per visionare e selezionare la materia prima ed il pro¬dotto finito”. Oggi con il mercato globale è cambiata anche la prove¬nienza della materia prima: “I forni¬tori principali sono la Spagna ed il Portogallo, dove si concentra 1’80% della produzione mondiale di sughe¬ro.

Ci sono foreste di grandissima estensione, molto curate e dove tra l’altro vive una fauna variegata: quel¬la selvatica, con animali rari come la lince iberica, e quella addomesticata, come i maiali che pascolano liberi e dai quali si ricava il famoso prosciutto spagnolo “pata negra”. Fa piacere pensare che l’industria del sughero alimenta un ecosistema di questo tipo: anche perché và detto che la quercia da sughero non viene intaccata dal prelievo dello strato di cortec¬cia: nel giro di 10 anni la riforma allo stesso livello. Quando la materia pri¬ma arriva qui in ditta, dopo essere stata ovviamente selezionata. viene avviata ad una lavorazione che richie¬de circa due anni prima di realizzare il tappo finito. C’è infatti un anno e mezzo di stagionatura del sughero, e poi la bollitura, che rende la cortec¬cia più morbida e quindi lavorabile. Poi c’è la fustellatura, ovvero il ta¬glio in strisce dello spessore del tap¬po, da cui poi vengono tagliati una serie di cilindri, del calibro che il cliente richiede. Poi questi vengono lavati e sterilizzati per passare alla scelta qualitativa in base alle vena¬ture e alle spugnosità, perché ricor¬diamoci sempre che si tratta di un prodotto naturale”.
Ultimamente nel mercato del vino ci sono aziende che si rivolgono al tappo di plastica per il loro prodotto, ma il tappo di sughero resta ancora un importante indice di qualità. “II tappo di plastica è una soluzione che permette un rispar¬mio, ma il sughero per il vino resta un valore aggiunto: permette una micro ossigenazione indispensabile per la sua maturazione. Ci sono diffe¬renze molto nette: un grande vino non può prescindere da un tappo di sughero che consenta di affinarsi in bottiglia anche per anni. Alcuni gran¬di nomi della nostra enologia che ave¬vano provato la strada del tappo in plastica infatti sono ben presto tornati indietro”. Anche quello del sughero, come ormai ogni produzione, è un settore competitivo: “Per vincere que¬sta competizione-concludono Afro e Piero-noi puntiamo sul ciclo tradizio¬nale, alla quale abbiamo applicato dei macchinari molto moderni, alcuni di nostra progettazione, che ci consen¬tono, con un organico che conta tre soci e quattro addetti, di fare la produzione che grandi aziende spa¬gnole fanno con centinaia di dipen¬denti.

Entro l’anno partiremo an¬che con la produzione dei tappi co¬siddetti “agglomerati”, ovvero rea¬lizzati con i resti della lavorazione primaria, sminuzzati e poi ricompat¬tati con dei collanti. Si tratta dei tappi caratteristici per gli spumanti ad esem¬pio: una volta avviata questa linea saremo l’unica ditta nell’Italia penin¬sulare ad avere il ciclo di lavorazione completo. Attualmente i produttori italiani per gli agglomerati ad esem¬pio si devono rivolgere all’estero”. Il mercato del sugherificio “II Castello” conta acquirenti tra i grandi produtto¬ri vinicoli del nord Italia.